riceviamo e volentieri pubblichiamo,
Intervista a Carola Rackete. Cit La Repubblica
#restiamoumani #umanità
cosa dice Matteo Salvini di lei? Che è una sbruffoncella comunista, criminale e pirata.
«Non mi sorprende, l’ho querelato per questo. E l’ho denunciato per istigazione a delinquere. I sovranisti sono tutti uguali: distorcono i fatti e li trasformano in opinioni. Le loro opinioni».
Dice anche che lei è ricca e figlia di papà.
«Bugie. Mio padre è in pensione e lavorava in una compagnia che produce giubbotti antiproiettile. Mia madre fa parte di una piccola Ong legata alla Chiesa, si occupa dei detenuti e viene regolarmente insultata per questo. Quando ero teenager dovevo lavorare se volevo andare in vacanza».
Farebbe salire sulla Sea-Watch il ministro italiano? Magari cambia idea su di voi.
«Non possiamo».
#restiamoumani #umanità
cosa dice Matteo Salvini di lei? Che è una sbruffoncella comunista, criminale e pirata.
«Non mi sorprende, l’ho querelato per questo. E l’ho denunciato per istigazione a delinquere. I sovranisti sono tutti uguali: distorcono i fatti e li trasformano in opinioni. Le loro opinioni».
Dice anche che lei è ricca e figlia di papà.
«Bugie. Mio padre è in pensione e lavorava in una compagnia che produce giubbotti antiproiettile. Mia madre fa parte di una piccola Ong legata alla Chiesa, si occupa dei detenuti e viene regolarmente insultata per questo. Quando ero teenager dovevo lavorare se volevo andare in vacanza».
Farebbe salire sulla Sea-Watch il ministro italiano? Magari cambia idea su di voi.
«Non possiamo».
Perché?
«Abbiamo una regola molto rigida: niente razzisti a bordo».
La Capitana è sempre la Capitana.
Anche adesso che, sorridendo, mette la caffettiera sul fornello, risponde alle mail degli amici dal suo pc con gli adesivi di Greenpeace, Sea-Watch e Rise for Afrin (la città curda), cammina nella cucina a piedi scalzi, indossa un vestito finalmente colorato. La 31enne Carola Rackete è così, non scende mai dalla nave.
Neanche in questa casa in una località che lei non vuole si riveli dove la ong tedesca l’ha nascosta per evitare l’assedio di telecamere, curiosi, sostenitori, contestatori.
Repubblica l’ha incontrata. «Sto bene, riesco pure a dormire. Piano piano sto realizzando la grandezza di ciò che abbiamo fatto con la Sea-Watch 3».
E cosa avete fatto?
«Abbiamo abbattuto un muro.
Quello innalzato in mare dal Decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo. Talvolta servono azioni di disobbedienza civile per affermare diritti umani e portare leggi sbagliate di fronte a un giudice. In Germania sappiamo bene che ci sono stati dei periodi bui in cui i tedeschi seguivano leggi e divieti che non andavano bene: solo per il fatto che qualcosa è legge non vuol dire che sia una buona legge».
Per aver abbattuto quel muro l’hanno arrestata.
«Però poi l’ordinanza della giudice di Agrigento ha smontato le accuse e anche il decreto Salvini. Non sono una scafista, non abbiamo mai avuto contatti con i trafficanti libici e lo dimostreremo. Se il vostro ministro vuole parlare di crimini, allora forse potrebbe dire che tutta l’Unione Europea è complice di alcuni reati».
Quali?
«Finanziare la guardia costiera libica, per esempio. E respingere i naufraghi verso un Paese in guerra che viola i diritti umani».
Torniamo ai diciassette giorni.
Quando ha capito che non sarebbe stato un caso come gli altri?
«Appena siamo giunti sul limite delle acque territoriali, a Lampedusa. Ci hanno fatto sbarcare undici persone, poi mi è arrivata una mail con il testo del decreto entrato in vigore, e alle due di notte i finanzieri sono saliti e mi hanno fatto firmare l’atto di divieto di ingresso. Era tutto molto strano».
Secondo i pm di Agrigento, non avevate un effettivo stato di necessità, perché i casi medici gravi li avevate fatti scendere, in più finanzieri e guardiacoste salivano spesso sulla Sea-Watch 3 per controllare.
«Non hanno mai parlato con i naufraghi, né con i nostri dottori.
Non avevano psichiatri che potessero valutare lo stato mentale del gruppo».
La notte dell’attracco di forza a Lampedusa... ma perché non ha aspettato qualche ora? L’accordo politico sulla redistribuzione dei migranti tra cinque Stati si stava per sbloccare.
«Erano solo voci, e le sentivamo da quattordici giorni. Anche i parlamentari italiani a bordo mi dicevano che la soluzione era vicina, ma si sbagliavano. A quel punto ho smesso di credere ai rumors. Ho valutato la situazione sul ponte e i report medici, la linea rossa era superata: non potevo più garantire la salute e la sicurezza dei migranti».
I parlamentari hanno avuto un ruolo nella sua scelta?
«No. Hanno partecipato al briefing in cui ho informato l’equipaggio che avrei attraccato di lì a poco.
Sembravano sorpresi, non capivano.
Comunque non hanno provato a fermarmi».
Si aspettava l’opposizione fisica della motovedetta?
«No, perché era molto rischioso.
Quando ho girato la Sea-Watch per avvicinarmi al molo pensavo che i finanzieri si sarebbero spostati. Ho provato a evitarli con una manovra, ma dal ponte di comando non vedevo bene la motovedetta. È stato un errore di valutazione, l’impatto poteva essere evitato: non sarebbe avvenuto se non fossi stata così stanca. Non dormivo da giorni, venivo svegliata ogni ora, perché c’era sempre qualcosa da decidere sulla nave».
Secondo la giudice di Agrigento lei stava obbedendo al dovere di salvare i naufraghi e portarli in un porto sicuro. È un dovere che giustifica qualsiasi cosa?
«Quasi. Per fare un salvataggio non puoi mettere in pericolo la sicurezza del tuo equipaggio e la stabilità della navigazione».
Mai un dubbio, quando si è ritrovata agli arresti?
«No, non ho sbagliato ad entrare nel porto e nelle acque territoriali.
L’unico errore è stata la collisione, nata dalla fatica. Comunque rifarei tutto quello che ho fatto, perché era il mio dovere».
Come ha fatto a tenere a bada i nervi del suo equipaggio?
«Abbiamo un portafortuna chiamato “It”. È un unicorno di peluche che si muove lungo un filo appeso sul ponte di comando. Gli abbiamo messo anche un mantello da supereroe. Con quello riuscivamo a trovare occasioni per scherzare».
E coi migranti?
«Ero troppo occupata con le carte, le comunicazioni, le manovre. Il ragazzi di Sea-Watch, invece, li conoscevano uno per uno, con nome e cognome.
Solo così siamo riusciti a evitare il panico».
Adesso cosa farà?
«Aspetto qui l’interrogatorio di Agrigento (fissato per il 9 luglio, ndr), poi tornerò a Berlino. Devo capire come gestire tutto il clamore e questa involontaria popolarità».
Sa di essere diventata un simbolo?
«Lo sto percependo, sì. Ho visto le mie foto ovunque, i graffiti, lo striscione a Notre Dame. Ma non mi sento un’eroina. Spero che ciò che ho fatto sia di esempio per la mia generazione: non dobbiamo stare seduti ad aspettare, non siamo costretti ad accettare tutto nel silenzio e nell’indifferenza. Possiamo alzarci in piedi, possiamo fare qualcosa, usare il cervello e il coraggio. Se ci sono dei problemi, facciamo qualcosa di concreto per risolverli”.
I suoi genitori cosa le hanno detto?
«Erano preoccupati, ma non troppo.
Sono abituati a vedermi fare cose che altri non fanno. Mio padre è un conservatore, abbiamo idee molto diverse: per lui, ad esempio, i turchi di seconda generazione che nascono in Germania non sono veramente tedeschi. Ma quando si parla di gente che muore in mare non hanno dubbi, sono fieri della mia scelta».
Cose che altri non fanno tipo salire su una rompighiaccio a 23 anni?
«Durante l’università potevo fare un anno di pratica e io l’ho fatta in una compagnia che gestiva le rompighiaccio da ricerca nell’Atlantico e nel Mediterraneo. È stata anche una sfida perché fare l’ufficiale di navigazione su navi così non è semplice. Mi ripagavano i tramonti eccezionali e gli ambienti suggestivi. Dopo la laurea mi hanno offerto un lavoro. Amo navigare perché è una professione di grande autonomia e responsabilità, ti porta a studiare meteorologia, economia ed altro. Lavori ogni giorno per due o tre mesi, consegni la nave e poi molli. Nessuno ti chiama più al telefono».
Una donna al timone. Andava bene a tutti?
«Ovviamente no. Dicevano che non potevo fare lo stesso lavoro degli uomini, mi guardavano con superiorità perché ero femmina e avevo i capelli rasta. In realtà io non sono una punk, né un’estremista: provengo dalla middle class tedesca, il mio ambiente è accademico. Ho amici in molte università. Sulla Sea-Watch 2, invece, la prima nave in cui ho fatto la capitana, il sessismo non esiste».
Ma chi è davvero Carola Rackete?
“Sono un’ambientalista convinta, atea e cittadina europea. Giro il mondo da quando ho 23 anni. Non mi sento particolarmente tedesca, sto in Germania appena un mese all’anno. Siamo cresciuti con l’idea dell’Unione Europea, e troppo spesso ci dimentichiamo quanto sia importante quest’istituzione.
Dovrebbe essere ancora più integrata, così gli Stati sarebbero costretti ad accettare la redistribuzione dei richiedenti asilo, invece di fare quei balletti ridicoli.
Alle ultime Europee ho votato per Yanis Varoufakis».
Secondo lei tutti i migranti, i richiedenti asilo e quelli definiti “economici”, possono venire in Europa?
«Anche chi scappa dalla fame e dalla mancanza di opportunità ha diritto a un futuro».
Un politico che le piace?
«La danese Margrethe Vestager, fino a oggi commissaria europea per la concorrenza. Mi piace come lotta contro i colossi Apple e Facebook per forzarli a pagare tutte le tasse in Europa».
Lei è interessata alla politica?
«Tutti devono esserlo, perché influenza le nostre vite. Sono preoccupata dai toni che usa Matteo Salvini, dal modo in cui esprime le sue idee che violano i diritti umani. È pericoloso, ma è tutta la destra radicale e sovranista che è così, dall’Ukip inglese all’Afd tedesco. A maggio in Sassonia c’è stata una sfilata di nazisti, in uniforme. È terribile che accada in Germania, oggi».
Sempre in viaggio, cosa c’è nel suo zaino?
«Una tenda, un sacco a pelo, pochi vestiti, e un notebook per leggere i libri».
Ultimo libro che ha letto?
«The pattering instinct, di Jeremy Lent. Spiega le differenze tra la cultura occidentale e quella cinese, e perché i cinesi abbiamo una visione della vita come conflitto perenne con la natura».
Dicono che lei è un’ambientalista come Greta Thunberg.
«Faccio parte del gruppo inglese Extinction Rebellion, che lotta contro i cambiamenti climatici.
Greta sta provando veramente a cambiare le cose, lo vedo dalle reazioni che suscita tra studenti, genitori, professori, società civile».
Ma anche lei non prende l’aereo perché inquina troppo?
«Tendo ad evitarlo quando posso, sì.
Sono andata in Cina in treno, per dire».
Ma c’è un posto nel mondo che lei chiama “casa”? No. "
«Abbiamo una regola molto rigida: niente razzisti a bordo».
La Capitana è sempre la Capitana.
Anche adesso che, sorridendo, mette la caffettiera sul fornello, risponde alle mail degli amici dal suo pc con gli adesivi di Greenpeace, Sea-Watch e Rise for Afrin (la città curda), cammina nella cucina a piedi scalzi, indossa un vestito finalmente colorato. La 31enne Carola Rackete è così, non scende mai dalla nave.
Neanche in questa casa in una località che lei non vuole si riveli dove la ong tedesca l’ha nascosta per evitare l’assedio di telecamere, curiosi, sostenitori, contestatori.
Repubblica l’ha incontrata. «Sto bene, riesco pure a dormire. Piano piano sto realizzando la grandezza di ciò che abbiamo fatto con la Sea-Watch 3».
E cosa avete fatto?
«Abbiamo abbattuto un muro.
Quello innalzato in mare dal Decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo. Talvolta servono azioni di disobbedienza civile per affermare diritti umani e portare leggi sbagliate di fronte a un giudice. In Germania sappiamo bene che ci sono stati dei periodi bui in cui i tedeschi seguivano leggi e divieti che non andavano bene: solo per il fatto che qualcosa è legge non vuol dire che sia una buona legge».
Per aver abbattuto quel muro l’hanno arrestata.
«Però poi l’ordinanza della giudice di Agrigento ha smontato le accuse e anche il decreto Salvini. Non sono una scafista, non abbiamo mai avuto contatti con i trafficanti libici e lo dimostreremo. Se il vostro ministro vuole parlare di crimini, allora forse potrebbe dire che tutta l’Unione Europea è complice di alcuni reati».
Quali?
«Finanziare la guardia costiera libica, per esempio. E respingere i naufraghi verso un Paese in guerra che viola i diritti umani».
Torniamo ai diciassette giorni.
Quando ha capito che non sarebbe stato un caso come gli altri?
«Appena siamo giunti sul limite delle acque territoriali, a Lampedusa. Ci hanno fatto sbarcare undici persone, poi mi è arrivata una mail con il testo del decreto entrato in vigore, e alle due di notte i finanzieri sono saliti e mi hanno fatto firmare l’atto di divieto di ingresso. Era tutto molto strano».
Secondo i pm di Agrigento, non avevate un effettivo stato di necessità, perché i casi medici gravi li avevate fatti scendere, in più finanzieri e guardiacoste salivano spesso sulla Sea-Watch 3 per controllare.
«Non hanno mai parlato con i naufraghi, né con i nostri dottori.
Non avevano psichiatri che potessero valutare lo stato mentale del gruppo».
La notte dell’attracco di forza a Lampedusa... ma perché non ha aspettato qualche ora? L’accordo politico sulla redistribuzione dei migranti tra cinque Stati si stava per sbloccare.
«Erano solo voci, e le sentivamo da quattordici giorni. Anche i parlamentari italiani a bordo mi dicevano che la soluzione era vicina, ma si sbagliavano. A quel punto ho smesso di credere ai rumors. Ho valutato la situazione sul ponte e i report medici, la linea rossa era superata: non potevo più garantire la salute e la sicurezza dei migranti».
I parlamentari hanno avuto un ruolo nella sua scelta?
«No. Hanno partecipato al briefing in cui ho informato l’equipaggio che avrei attraccato di lì a poco.
Sembravano sorpresi, non capivano.
Comunque non hanno provato a fermarmi».
Si aspettava l’opposizione fisica della motovedetta?
«No, perché era molto rischioso.
Quando ho girato la Sea-Watch per avvicinarmi al molo pensavo che i finanzieri si sarebbero spostati. Ho provato a evitarli con una manovra, ma dal ponte di comando non vedevo bene la motovedetta. È stato un errore di valutazione, l’impatto poteva essere evitato: non sarebbe avvenuto se non fossi stata così stanca. Non dormivo da giorni, venivo svegliata ogni ora, perché c’era sempre qualcosa da decidere sulla nave».
Secondo la giudice di Agrigento lei stava obbedendo al dovere di salvare i naufraghi e portarli in un porto sicuro. È un dovere che giustifica qualsiasi cosa?
«Quasi. Per fare un salvataggio non puoi mettere in pericolo la sicurezza del tuo equipaggio e la stabilità della navigazione».
Mai un dubbio, quando si è ritrovata agli arresti?
«No, non ho sbagliato ad entrare nel porto e nelle acque territoriali.
L’unico errore è stata la collisione, nata dalla fatica. Comunque rifarei tutto quello che ho fatto, perché era il mio dovere».
Come ha fatto a tenere a bada i nervi del suo equipaggio?
«Abbiamo un portafortuna chiamato “It”. È un unicorno di peluche che si muove lungo un filo appeso sul ponte di comando. Gli abbiamo messo anche un mantello da supereroe. Con quello riuscivamo a trovare occasioni per scherzare».
E coi migranti?
«Ero troppo occupata con le carte, le comunicazioni, le manovre. Il ragazzi di Sea-Watch, invece, li conoscevano uno per uno, con nome e cognome.
Solo così siamo riusciti a evitare il panico».
Adesso cosa farà?
«Aspetto qui l’interrogatorio di Agrigento (fissato per il 9 luglio, ndr), poi tornerò a Berlino. Devo capire come gestire tutto il clamore e questa involontaria popolarità».
Sa di essere diventata un simbolo?
«Lo sto percependo, sì. Ho visto le mie foto ovunque, i graffiti, lo striscione a Notre Dame. Ma non mi sento un’eroina. Spero che ciò che ho fatto sia di esempio per la mia generazione: non dobbiamo stare seduti ad aspettare, non siamo costretti ad accettare tutto nel silenzio e nell’indifferenza. Possiamo alzarci in piedi, possiamo fare qualcosa, usare il cervello e il coraggio. Se ci sono dei problemi, facciamo qualcosa di concreto per risolverli”.
I suoi genitori cosa le hanno detto?
«Erano preoccupati, ma non troppo.
Sono abituati a vedermi fare cose che altri non fanno. Mio padre è un conservatore, abbiamo idee molto diverse: per lui, ad esempio, i turchi di seconda generazione che nascono in Germania non sono veramente tedeschi. Ma quando si parla di gente che muore in mare non hanno dubbi, sono fieri della mia scelta».
Cose che altri non fanno tipo salire su una rompighiaccio a 23 anni?
«Durante l’università potevo fare un anno di pratica e io l’ho fatta in una compagnia che gestiva le rompighiaccio da ricerca nell’Atlantico e nel Mediterraneo. È stata anche una sfida perché fare l’ufficiale di navigazione su navi così non è semplice. Mi ripagavano i tramonti eccezionali e gli ambienti suggestivi. Dopo la laurea mi hanno offerto un lavoro. Amo navigare perché è una professione di grande autonomia e responsabilità, ti porta a studiare meteorologia, economia ed altro. Lavori ogni giorno per due o tre mesi, consegni la nave e poi molli. Nessuno ti chiama più al telefono».
Una donna al timone. Andava bene a tutti?
«Ovviamente no. Dicevano che non potevo fare lo stesso lavoro degli uomini, mi guardavano con superiorità perché ero femmina e avevo i capelli rasta. In realtà io non sono una punk, né un’estremista: provengo dalla middle class tedesca, il mio ambiente è accademico. Ho amici in molte università. Sulla Sea-Watch 2, invece, la prima nave in cui ho fatto la capitana, il sessismo non esiste».
Ma chi è davvero Carola Rackete?
“Sono un’ambientalista convinta, atea e cittadina europea. Giro il mondo da quando ho 23 anni. Non mi sento particolarmente tedesca, sto in Germania appena un mese all’anno. Siamo cresciuti con l’idea dell’Unione Europea, e troppo spesso ci dimentichiamo quanto sia importante quest’istituzione.
Dovrebbe essere ancora più integrata, così gli Stati sarebbero costretti ad accettare la redistribuzione dei richiedenti asilo, invece di fare quei balletti ridicoli.
Alle ultime Europee ho votato per Yanis Varoufakis».
Secondo lei tutti i migranti, i richiedenti asilo e quelli definiti “economici”, possono venire in Europa?
«Anche chi scappa dalla fame e dalla mancanza di opportunità ha diritto a un futuro».
Un politico che le piace?
«La danese Margrethe Vestager, fino a oggi commissaria europea per la concorrenza. Mi piace come lotta contro i colossi Apple e Facebook per forzarli a pagare tutte le tasse in Europa».
Lei è interessata alla politica?
«Tutti devono esserlo, perché influenza le nostre vite. Sono preoccupata dai toni che usa Matteo Salvini, dal modo in cui esprime le sue idee che violano i diritti umani. È pericoloso, ma è tutta la destra radicale e sovranista che è così, dall’Ukip inglese all’Afd tedesco. A maggio in Sassonia c’è stata una sfilata di nazisti, in uniforme. È terribile che accada in Germania, oggi».
Sempre in viaggio, cosa c’è nel suo zaino?
«Una tenda, un sacco a pelo, pochi vestiti, e un notebook per leggere i libri».
Ultimo libro che ha letto?
«The pattering instinct, di Jeremy Lent. Spiega le differenze tra la cultura occidentale e quella cinese, e perché i cinesi abbiamo una visione della vita come conflitto perenne con la natura».
Dicono che lei è un’ambientalista come Greta Thunberg.
«Faccio parte del gruppo inglese Extinction Rebellion, che lotta contro i cambiamenti climatici.
Greta sta provando veramente a cambiare le cose, lo vedo dalle reazioni che suscita tra studenti, genitori, professori, società civile».
Ma anche lei non prende l’aereo perché inquina troppo?
«Tendo ad evitarlo quando posso, sì.
Sono andata in Cina in treno, per dire».
Ma c’è un posto nel mondo che lei chiama “casa”? No. "
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